L’ADS non è sempre la soluzione. Quando si deve farne a meno? Lo dice la Cassazione.

ADS: quando non serve?

In taluni casi non sussistono i presupposti per la nomina di un Amministratore di sostegno: in particolare, ciò occorre quando l’interessato conserva una sua autonomia decisionale e non sia favorevole alla misura giacché:

“L’amministrazione di sostegno, ancorché non esiga che la persona versi in uno stato di vera e propria incapacità di intendere o di volere, nondimeno presuppone una condizione attuale di menomata capacità che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi mentre è escluso il ricorso all’istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale, in quanto detto utilizzo implicherebbe un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona, tanto più a fronte della volontà contraria all’attivazione della misura manifestata da un soggetto pienamente lucido;

(Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto sottoponibile ad amministrazione di sostegno un’anziana signora sul presupposto di una scarsa cognizione delle proprie possidenze patrimoniali, non paventata come conseguenza di una patologia psico-cognitiva, ma quale semplice effetto dell’organizzazione di vita già da tempo assunta e imperniata su una fiduciaria delega gestionale delle risorse alla figlia). (Cassazione civile , sez. I , 31/12/2020 , n. 29981).

La volontà del beneficiando conta e non può essere disattesa.

Sul punto si richiamano alcuni passaggi fondamentali resi nella pronuncia della Suprema Corte di Cassazione civile sez. I, 27/09/2017, (ud. 14/07/2017, dep.27/09/2017), n. 22602.

“18.1. La finalità cui tende l’amministrazione di sostegno è quella di proteggere le persone fragili, ovvero coloro che si trovano in difficoltà nel gestire le attività della vita quotidiana e i propri interessi, o che addirittura si trovano nell’impossibilità di farlo (art. 1, della Legge istitutiva, n. 6 del 2004: “(…) tutelare (…) le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana “.).

18.2. Tuttavia, nell’appena menzionato art. 1, si avvertono i destinatari delle prescrizioni normative che la tutela dell’amministrato deve avvenire: “con la minore limitazione possibile della capacità di agire (…)”.

18.3. A tal riguardo si è giustamente parlato dell’esistenza di una precisa direttiva di “non mortificare” la persona, da realizzare evitando o riducendo, quanto più possibile, la limitazione della capacità di agire dell’interessato così da non intaccare la dignità personale del beneficiario (art. 2 Cost.), conservandogli il più possibile la capacità di agire.

18.4. Non a caso questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23707 del 2012) ha chiarito che “l’art. 408 c.c., il quale ammette la designazione preventiva dell’amministratore di sostegno da parte dello stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, è espressione del principio di autodeterminazione della persona, in cui si realizza il valore fondamentale della dignità umana, ed attribuisce quindi rilievo al rapporto di fiducia interno fra il designante e la persona prescelta, che sarà chiamata ad esprimerne le intenzioni in modo vincolato”.

18.5. Tralasciando il caso in cui l’interessato rifiuti il consenso o, addirittura, si opponga alla nomina dell’amministratore di sostegno, (proprio a causa della patologia psichica da cui egli è afflitto, ciò che lo rende inconsapevole del bisogno di essere aiutato e, per tale ragione, riluttante all’ingerenza di altri nella propria quotidianità), diversamente la volontà contraria all’attivazione della misura di sostegno, ove provenga da persona pienamente lucida (come si verifica allorquando la limitazione di autonomia si colleghi ad un impedimento soltanto di natura fisica) non può non essere tenuta in debita considerazione.

18.6. In tali casi, il difficile equilibrio che il giudice chiamato a risolvere il conflitto dovrà trovare, deve essere guidato dalla necessità di privilegiare il rispetto dell’autodeterminazione dell’interessato, distinguendo il caso in cui la protezione sia già di fatto assicurata in via spontanea dai familiari o dal sistema di deleghe (in precedenza attivato autonomamente dal disabile stesso) da quello in cui la scelta della nomina dell’amministratore di sostegno s’imporrà perché non vi siano supporti e la riluttanza della persona fragile si fondi su un senso di orgoglio ingiustificato, con il rischio di non dare una adeguata tutela ai suoi interessi.

19. Alla luce di tali premesse, si comprende che le doglianze esposte con i motivi dal quinto al quattordicesimo, risultino fondati in quanto il provvedimento di assoggettamento del ricorrente all’amministrazione di sostegno, contra voluntatem suam, non risulta pronunciato esaminando se il sistema delle deleghe attivate dall’amministrando assicuri al medesimo soggetto il perseguimento dei propri interessi, secondo i principi di autodeterminazione e di rispetto della dignità dell’interessato, atteso che la persona risulta, secondo la stessa decisione qui impugnata, pienamente lucida e capace di operare le scelte di vita (benché abbia difficoltà ad esprimerle vocalmente) nonché coniugato e, perciò, anche assistito nelle decisioni e nella vita quotidiana – dal coniuge (per quanto inviso al promotore del procedimento di amministrazione).

19.1.Infatti, come si è detto: in tema di amministrazione di sostegno, nel caso in cui l’interessato sia persona pienamente lucida che rifiuti il consenso o, addirittura, si opponga alla nomina dell’amministratore, e la sua protezione sia già di fatto assicurata in via spontanea dai familiari o dal sistema di deleghe (attivato autonomamente dall’interessato), il giudice non può imporre misure restrittive della sua libera determinazione, ove difetti il rischio una adeguata tutela dei suoi interessi, pena la violazione dei diritti fondamentali della persona, di quello di autodeterminazione, e la dignità personale dell’interessato.

(Cassazione civile sez. I, 27/09/2017, (ud. 14/07/2017, dep.27/09/2017), n. 22602.)

In tema di procura generale, inoltre, la dottrina ha chiarito che “la dove un dato soggetto abbia conferito procura generale per la cura dei propri affari, non potrà vedersi destinatario dell’amministrazione di sostegno, su richiesta, ad esempio del coniuge, nel caso in cui versi, sempre ad esempio, nella mera difficoltà fisica di curare i propri interessi, (per)chè non può dirsi sussista, in quest’ipotesi il presupposto di nascita dell’amministrazione di sostegno.

In altri termini, il soggetto perfettamente compos sui, il quale prediliga il mandato, e il conferimento di procura a persona di propria elezione, seppur scelta al di fuori della cerchia familiare, non può correre il rischio di vedersi imposta l’amministrazione di sostegno, chè difetta , in questa ipotesi, il presupposto logico-giuridico d’applicazione del nuovo istituto, neppure ove si sostenga che, con le garanzie contemplate, esso può rivelarsi più adatto alla protezione della persona debole.” (Commentario al Codice civile, G. Bonilini – F. Tommaseo, Dell’Amministrazione di sostegno artt. 404-413, Giuffrè Editore, 2008, pag. 450 ss.).

Eleonora Barrichello

 

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