Amministratore Sostegno

I proventi percepiti dall’ADS avvocato per tale ruolo non sono esenti

IL COMPENSO DELL’AVVOCATO ADS NON VA IN ESENZIONE PER LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI MILANO

Quale COMPENSO per l’ADS?

Secondo la commissione tributaria regionale di Milano non si può affermare che l’indennità percepita dall’ADS, in quanto tale, non è parte della base imponibile e, quindi, esente da imposte, perchè non si ravvedono norme di legge dalle quali trarre dette conclusioni.  Invero, i redditi possono essere considerati esenti da imposte quando una norma espressa ne qualifica l’esenzione e qui manca detta previsione.

Pertanto, l’indennità ricevuta quale amministratore di sostegno rientra, a pieno titolo, in un compenso riconosciuto al contribuente in quanto avvocato.

Allo stato, il percorso ermeneutico non sarebbe in grado di superare il fatto che nessuna norma qualifica come esenti le indennità ricevute da un libero professionista quale amministratore di sostegno. Di talché, i proventi percepiti dal contribuente per tale ruolo non sono esenti dalla base imponibile.

Infine, dando una lettura ad hoc all’art. 408 c.c., si ritiene che vi sia previsione della possibile nomina anche di un professionista (generalmente avvocato) per l’ufficio tutelare e che, per l’effetto, questo debba ritenersi da compensare come svolgente la sua attività professionale. Tale attività genererebbe perciò redditi imponibili.

Inoltre, secondo il giudicante, non può essere presa in considerazione, l’ordinanza n. 10673/ 1988 della Corte Costituzionale (che aveva evidenziato come l’equa indennità di cui all’art. 379 c.c., comma 2 – che il giudice tutelare può assegnare al tutore, considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione – non ha natura retributiva ma serve a compensare gli oneri e le spese non facilmente documentabili da cui è gravato il tutore, in ragione dell’attività di amministrazione del patrimonio della persona beneficiata). Secondo il giudice tributario l’ordinanza della Consulta risale al lontano 1988 e le norme in materia di amministrazione di sostegno sono state introdotte con la L. n. 6 del 2004, così superando la statuizione del giudce costituzionale.

Si specifica altresì che, nella citata ordinanza  del 1988, il caso era riferito ad una persona interdetta affidata ad un parente, e relativa all’assistenza personale particolarmente gravosa, mentre l’indennità che detta norma prevede invece è a favore del tutore in considerazione delle difficoltà dell’amministrazione del patrimonio, così deducendo un conflitto che non permette di estendere l’eslusione dall’imponibile nel caso di nomina di un avvocato, esterno alla famiglia, che percepisca compensi appunto ancorati alla  gestione del patrimonio.

Si riporta di seguito il testo integrale della sentenza.

Avv. Alberto Vigani

***

Comm. trib. regionale Lombardia Milano, Sez. III, Sent., 25/05/2018, n. 2388

***

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI LOMBARDIA

TERZA SEZIONE

riunita con l’intervento dei Signori:

ROLLERO GIOVANNI BATTISTA – Presidente

CHIAMETTI GUIDO – Relatore

CASSONE ADRIANA – Giudice

ha emesso la seguente

SENTENZA

– sull’appello n. 6892/2016

depositato il 23/11/2016

– avverso la pronuncia sentenza n. 5046/2016 Sez:43 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di MILANO

contro:

C.G.P.M.

VIA B. C. 3 20129 M.

difeso da:

CAPELLINI MARCO

VIA AURELIO SAFFI 29 20123 MILANO

e da

ZONTA DR.SSA LIVIA

CAPPELLINI DR. MARCO

VIA AURELIO SAFFI 29 20100 MILANO

proposto dall’appellante:

AG. ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE I DI MILANO

Atti impugnati:

AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IRPEF-ADD.REG. 2009

AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IRPEF-ALTRO 2009

AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IVA-ALTRO 2009

Appello per l’annullamento/riforma della sentenza n. 5046, Sezione 43 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, del 10 giugno 2016.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La controversia traeva origine dalla notificazione dell’avviso di accertamento attraverso il quale l’agenzia delle entrate rideterminava il reddito per il 2009 del sig. C., esercente attività di avvocato, accertando un reddito complessivo di Euro. 70.909,00., ed un volume d’affari di Euro. 56.000,00..

In sede di contraddittorio l’ufficio rilevava due accrediti, uno di Euro. 32.000,00. e l’altro di Euro. 24.000,00., riferibili ad “indennità di amministratore di sostegno” classificandoli tra i redditi ex art. 53 TUIR, ovvero, redditi da lavoro autonomo. Il contribuente presentava ricorso che veniva accolto dal Giudici di prime cure, i quali statuivano come l’indennità in questione non aveva natura retributiva e non era inquadrabile tra i redditi di lavoro autonomo.

L’ufficio delle entrate a tale decisione interponeva appello, affidandosi a tali motivi.

Violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 53 e 3 TUIR.

I Giudici di prime cure, esordiva l’ufficio, erravano nel considerare che l’indennità, in quanto tale, era esente dalle imposte aggiungendo che non vi era nessuna disposizione che propendeva per tale assunto.

Chiariva come l’indennità rientrava a pieno titolo in un compenso riconosciuto all’avvocato e che nessuna norma qualificava come esenti i compensi ricevuti da un avvocato quale amministratore di sostegno e che l’art. 53 del TUIR riteneva imponibili i compensi percepiti nell’esercizio di arti e professioni svolte in forma abituale. Concludeva tale doglianza affermando come, anche in virtù dell’art. 3 del medesimo testo unico, tali indennità erano reddito tassabile a tutti gli effetti.

Eccepiva altresì la violazione degli artt. 379, 404, 408, e 411 c.c..

Sul punto, l’ente si doleva del fatto che i Giudici del grado inferiore avevano formato la loro decisione, oltre che sugli articoli citati, anche sull’Ordinanza della Consulta n. 1073/1988 le cui attribuzioni non erano state superate dalle considerazioni mosse dall’ufficio nella risoluzione n. 2 del 9 gennaio 2012.

Ancora si doleva del fatto che l’accoglimento del ricorso non poggiava, come sembrava dalla lettura della sentenza, sul mancato superamento della citata ordinanza, ad opera della pur già citata risoluzione.

Ripercorreva per sommi capi l’istituito civilistico dell’amministratore di sostegno evidenziando come l’art. 411 c.c. che, rinvia all’art. 379 c.c., era da applicare sulla base della concreta situazione.

L’ufficio concludeva anche sulla base della risoluzione n. 2/2012 che l’indennità percepita dall’avvocato, anche se determinata in via equitativa e su base forfettaria doveva rientrare a tutti gli effetti tra i redditi di cui all’art. 53 del TUIR.

Sulla preminenza dell’ordinanza della Consulta, la quale, nella sentenza impugnata è stata grandemente valorizzata dai Giudici di primo grado, l’Ufficio ricordava come la stessa era del 1988 e che le leggi in materia di amministrazione di sostegno erano state introdotte solo nel 2004.

Ancora aggiungeva la totale irrilevanza del richiamo a detta ordinanza poiché afferente un caso di interdizione.

Insisteva per l’accoglimento dell’appello in quanto, tali indennità erano compensi tassabili ex art. 53 TUIR.

In data 10 gennaio 2017 il contribuente depositava proprio atto di controdeduzioni contenente al loro interno, anche un atto di appello incidentale condizionato.

Esordiva ripercorrendo brevemente i fatti, affermando poi come in realtà vi era un chiaro quadro normativo (art. 379 c.c. anche in virtù del richiamo operato dall’art. 411 c.c.) atto ad escludere l’imponibilità di dette indennità e che i Giudici del primo grado avevano rilevato come l’espresso riferimento ad un equa indennità, operato dal legislatore, non esigeva nessuna interpretazione posta la sua chiarezza.

La natura non reddituale di tale indennità, seguitava l’appellato era stata sancita anche dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 1073 del 1988, la quale appunto stabiliva come l’indennità non aveva natura retributiva. Citava altresì della giurisprudenza oltre che dottrina le quali, a suo dire, erano univoci nel considerare tali indennità non imponibili.

Ancora aggiungeva come nel 2009 non poteva essere a conoscenza della risoluzione del 2012 che, al di là di quanto argomentato dall’A.F., è il presupposto posto a base dell’accertamento.

Citava poi della giurisprudenza che chiariva come le risoluzione e le circolari dell’agenzia erano solo dei documenti interpretativi non vincolanti.

Sulla natura non reddituale dell’indennità citava dei provvedimenti del direttore regionale entrate del Friuli Venezia Giulia oltre che delle sentenze di merito.

Sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 379, 404, 408, e 411 il contribuente riteneva come l’ufficio delle entrate abbia mal interpretato le disposizioni dei Giudici di prime cure sul punto affermando come gli stessi decisori siano partiti dall’ esame del quadro normativo vigente concludendo come lo stesso non era stato superato dalla risoluzione n. 2/12.

Eccepiva poi, in via incidentale, la manifesta erroneità della sentenza laddove non aveva rilevato la violazione del contraddittorio endo-procedimentale. Sviluppava poi le proprie argomentazioni sul punto e concludeva chiedendo il rigetto integrale dell’appello dell’ufficio e conseguente conferma della sentenza n. 5046/43/2016.

Il Collegio giudicante accoglie l’appello dell’ufficio alla stregua delle seguenti argomentazioni e motivazioni.

La controversia verteva sul fatto che l’ufficio aveva determinato il reddito per l’anno 2009 dell’odierno ricorrente che svolgeva la professione di avvocato, in Euro 43.871,00 (a fronte di una perdita dichiarata pari a Euro 12.129,00) accertando un reddito complessivo di Euro 70.909,00 ed un volume d’affari di Euro 56.000,00.

In sede di controllo da parte dell’ufficio, nella documentazione prodotta il 3 giugno 2014 venivano riscontrate due movimentazioni bancarie (accrediti), avvenute il 30 marzo 2009 per Euro 32.000,00, e il 10 dicembre 2009 per Euro 24.000,00, collegate e riferibili ad “indennità di amministrazione di sostegno” per l’attività svolta dal ricorrente in favore di una determinata signora, in seguito alla nomina ottenuta con decreto dal tribunale di Milano.

Ebbene, l’ufficio accertatore rilevava che tali indennità costituivano reddito di lavoro autonomo ex-art. 53 D.P.R. n. 917 del 1986 da assoggettare interamente a tassazione, nel rispetto delle norme di legge che disciplinano i singoli tributi.

Il contribuente impugnava immediatamente in Commissione tributaria l’avviso di accertamento notificatogli e, il primo giudice accogliendo il ricorso, considerava meritevoli di essere condivise le doglianze di merito del contribuente, affermando, fra le altre cose “...l’indennità in questione, proprio perché non avente natura retributiva, non è in alcun modo inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53 del testo unico sulle imposte sui redditi e rilevante ai fini IVA ai sensi degli artt. 3 e 5 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633″.

L’ufficio appellava tale sentenza per i seguenti motivi.

Violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 53 e 3 TUIR

Questo Giudice d’appello non condivide l’assunto preso dal primo collegio laddove sosteneva: “….la semplice circostanza di fatto costituita dalla qualifica professionale di avvocato rivestita dalla persona prescelta dal giudice tutelare per l’incarico di amministratore di sostegno non può essere, infatti, di per sé sola, sufficiente a modificare la natura della erogazione fino al punto di tramutarla in vero e proprio compenso per l’attività professionale svolta” e concludeva che “…La Commissione ritiene che l’indennità in questione, proprio perché non avente natura retributiva, non è in alcun modo inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53 del Testo Unico sulle imposte sui redditi e rilevante ai fini IVA ai sensi degli artt. 3 e 5 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633”.

A giudizio di questo Consesso giudicante d’appello, il primo giudice ha posto le proprie considerazioni sul presupposto che l’indennità, in quanto tale, non è parte della base imponibile e, quindi, esente da imposte, non indicando le norme di legge dalle quali trarre dette conclusioni.

Difatti, tali norme non esistono.

Da questo punto di vista è opportuno osservare che i redditi possono essere considerati esenti da imposte quando una norma espressa ne qualifica l’esenzione. Ebbene, l’indennità in parola rientra, a pieno titolo, in un compenso riconosciuto al contribuente in quanto avvocato.

Sul punto, nessuna norma qualifica come esenti le indennità ricevute da un libero professionista quale amministratore di sostegno.

Per cui, i proventi percepiti dal contribuente per tale ruolo non sono esenti dalla base imponibile, poiché l’art. 53 TUIR prevede che: “Sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall’esercizio di arti e professioni. Per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI, compreso l’esercizio in forma associata di cui alla lettera c) del comma 3 dell’articolo 5…”

Nel caso in esame, l’odierno contribuente, in veste di avvocato, era stato nominato a svolgere l’attività di amministratore di sostegno a favore di una certa signora in seguito alla nomina del tribunale.

Per il contribuente che svolge una professione che, ai sensi dell’art. 53 TUIR, genera reddito di lavoro autonomo, anche quanto percepito dallo svolgimento della carica di amministratore di sostegno, è assoggettabile totalmente a tassazione poiché attratto nella sfera di redditi da lavoro autonomo.

L’art. 3 TUIR prevede che: “L’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati …..”. Come anzidetto, i proventi percepiti dal contribuente quale amministratore di sostegno non sono esenti dalla base imponibile. Ne consegue che l’indennità percepita dal contribuente nel caso de quo costituisce un compenso (reddito di lavoro autonomo ex-art. 53 TUIR) da assoggettare interamente a tassazione, nel rispetto della legge. Alla luce di ciò, l’operato dell’ufficio era corretto.

Violazione e falsa applicazione degli articoli 379, 404 e 408 codice civile

Il primo collegio giudicante aveva avvalorato la tesi che riteneva di natura indennitaria la somma di complessivi Euro 56.000,00 percepita dal contribuente per la carica di amministratore di sostegno.

Nel proprio verdetto aveva scritto che l’erogazione percepita dall’avvocato, come amministratore di sostegno, non poteva essere tramutata in un vero e proprio compenso per l’attività svolta.

Per questo Giudice d’appello, quanto scritto nel primo grado di giudizio, non è corretto. Ciò perché gli articoli del codice civile sopra citati, attribuiscono al giudice tutelare ampia autonomia nello scegliere l’amministratore di sostegno, anche al di fuori dell’ambito dei familiari o conviventi, prevedendo la possibilità di nominare terzi, e di ricorrere ad adiuvandum a professionisti e non, di poterli anche stipendiare.

L’art. 379 c.c. prevede la gratuità dell’ufficio tutelare e il giudice può autorizzare il tutore a farsi coadiuvare nell’amministrazione, da personale anche stipendiato. Se particolari circostanze lo richiedono, il giudice può assegnare al tutore un’equa indennità.

L’art. 404 c.c. stabilisce la figura dell’amministratore di sostegno, quale gestore degli interessi della persona beneficiaria. Infine, l’art. 408 c.c. stabilisce la nomina anche di un professionista (generalmente avvocato) per l’ufficio tutelare. Che va evidenziato è il fatto che l’amministratore di sostegno deve interessarsi, con diligenza, delle cure, dell’amministrazione degli interessi e del patrimonio della persona beneficiata.

Indennità da assoggettare a tassazione

In deroga al principio della gratuità dell’ufficio tutelare, consentita in ragione dell’entità del patrimonio e delle difficoltà della sua gestione, sembra che l’indennizzo debba riferirsi alla sola attività del patrimonio della persona beneficiata, così che nessuna indennità dovrebbe ritenersi dovuta per l’opera prestata dal tutore per la cura personale della persona ammalata.

Non costituisce, invece, deroga al suddetto principio, il rimborso delle spese sostenute direttamente dal tutore per l’attività di amministrazione del patrimonio. L’equa indennità come indica la stessa espressione, non deve essere considerata come un corrispettivo dell’opera prestata, sebbene essa possa includere, oltre al rimborso delle spese, anche un ristoro per i mancati guadagni derivanti al tutore che si è dedicato, anziché alle sue normali occupazioni, all’espletamento dell’incarico.

Ebbene, qualora il giudice tutelare scelga direttamente un avvocato quale amministratore di sostegno, va detto che la relativa indennità anche se determinata in via equitativa e su base forfetaria, è da inquadrare quale reddito di lavoro autonomo a’ sensi dell’art. 53 TUIR e altresì rilevante ai fini IVA, secondo il D.P.R. n. 633 del 1972.

Ancora, per questo Collegio giudicante, non può essere presa in considerazione, così come sostiene parte appellata, l’ordinanza n. 10673/ 1988 della Corte Costituzionale (che aveva evidenziato come l’equa indennità di cui all’art. 379 c.c., comma 2 – che il giudice tutelare può assegnare al tutore, considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione – non ha natura retributiva ma serve a compensare gli oneri e le spese non facilmente documentabili da cui è gravato il tutore, in ragione dell’attività di amministrazione del patrimonio della persona beneficiata).

Tale ordinanza risale al 1988, mentre le norme in materia di amministrazione di sostegno sono state introdotte con la L. n. 6 del 2004.

E’ da specificare che nell’ordinanza sopra citata, il caso era riferito ad una persona interdetta affidata ad un parente, e relativa all’assistenza personale particolarmente gravosa, mentre l’indennità che detta norma prevede invece è a favore del tutore in considerazione delle difficoltà dell’amministrazione del patrimonio. Per cui, il richiamo all’ordinanza sopra citata è irrilevante.

Nel caso de quo, per l’odierno ricorrente, esercitando la professione di avvocato, con regolare partita IVA, l’indennizzo rientra pacificamente nella tassazione di reddito di lavoro autonomo, da aggiungersi a quelli percepiti nello svolgimento dell’attività forense.

Il compenso di complessivi Euro 56.000,00 non può essere definito “equa indennità”

Entrando più nello specifico, questo Giudice non può definire l’indennità percepita, di complessivi Euro 56.000,00, come equa indennità.

Le definizioni di “equo” e quella di “indennità” sono ben distanti dalla cifra sopra esposta. Infatti, per indennità si intende il risarcimento in denaro del danno sofferto o delle perdite subite.

L’importo così elevato non ha natura indennitaria, e, quindi, le considerazioni addotte dall’appellato, non possono essere accolte. Ebbene, contrariamente a quanto sostenuto dal contribuente (pag. 8 delle controdeduzioni del contribuente), l’importo di complessivi Euro 56.000,00 così elargito all’amministratore di sostegno, ha la caratteristica di essere definito “retributivo” come previsto dall’art. 36 della Costituzione.

Senza dubbio tale cifra è stata liquidata dal giudice tutelare, tenendo conto dell’attività prestata dall’avvocato, (come tempo dedicato a tale funzione e all’impegno profuso) e ciò sarà stata proporzionata all’opera prestata, oltre all’entità del patrimonio e alla difficoltà della sua amministrazione.

Per ottenere una liquidazione di indennità così elevata, l’odierno appellato deve aver sottratto gran tempo alla propria professione di avvocato. Se invece di svolgere tale ruolo, si fosse dedicato totalmente al proprio studio, il professionista avrebbe potuto svolgere delle consulenze a favore dei propri clienti e alla fine dei lavori avrebbe emesso delle parcelle.

Di conseguenza, non si capiscono le ragioni per le quali, tale redditi debbano essere esclusi dalla tassazione del reddito di lavoro autonomo. Cosa diversa sarebbe stata qualora il percettore dell’equo indennizzo fosse stato un individuo non esercente la libera professione.

Sono queste le ragioni per le quali l’appello viene accolto e, quindi, quanto percepito dall’amministratore di sostegno, essendo come nel caso di specie un professionista, deve essere attratto nella sfera di reddito di lavoro autonomo.

Spese di giudizio

Le spese di giudizio seguono la soccombenza, come da dispositivo.

Il Collegio giudicante
P.Q.M.

accoglie l’appello dell’ufficio. Condanna parte soccombente alle spese di lite che quantifica in complessivi Euro 1.000,00.
Conclusione

Milano, il 7 maggio 2018.

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