Cure mediche: amministratore di sostegno può esprimere il consenso informato

SERVE IL CONSENSO INFORMATO DELL’ADS PER LE CURE MEDICHE?

Consenso informato e ADS

Consenso informato e ADS

Tribunale Reggio Emilia, decreto 24.07.2012

Il “consenso informato” è il passaggio iniziale di ogni percorso terapeutico che il malato debba affrontare. Per questa ragione si deve ritenere che il trattamento sanitario  abbia quale necessaria condizione la necessità dell’espressione del consenso medesimo.

Tale consenso costituisce quindi il fondamento per la liceità dell’attività sanitaria, in assenza del quale l’attività stessa può costituire reato in caso trattamento lesivo per il paziente. Il fine della richiesta del consenso informato è infatti il garantire l’autonomia o libertà di scelta dell’individuo in riferimento alle scelte scelte terapeutiche da adottare.

Pertanto, a parte il caso in cui la situazione di urgenza non permetta al medico di attendere, nelle altre situazioni ove il paziente non è in grado di esprimere il proprio consenso, sarà necessario che venga nominato un amministratore di sostegno che si munisca di specifica autorizzazione da rilasciarsi dal Giudice Tutelare, ovviamente sulla base anche del convincimento del beneficiario in ordine alle terapie del caso.

Sul punto è interessante la pronuncia del tribunale emiliano ove si segnala che l’A.d.s. ha svolto una ricerca delle volontà della beneficiaria di cui ha tenuto conto il giudice tutelare prima di formulare ogni decisione.

Avv. Alberto Vigani




***

TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA

Il Giudice Tutelare

Reg. Amm. Sost. N. 29/2008

Il Giudice Tutelare,

pronunciando a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 03.07.2012;

  • vista l’istanza depositata in data 24.07.2012 dall’amministratore di sostegno avv. xxx, con la quale l’amministratore ha chiesto di essere autorizzata ad esprimere, in nome e per conto della beneficiaria, il consenso informato “al percorso per la cura con terapie palliative”;
  • letti gli atti della amministrazione di sostegno in favore di xxx;
  • letto il decreto di nomina dell’amministratore, emesso in data 19.03.2008, che gli attribuisce il potere di “prestare il consenso informato, in nome e per conto della beneficiaria, previa consultazione degli altri suoi familiari, nell’ipotesi in cui ella dovesse trovarsi in condizioni tali da non essere in grado di provvedervi personalmente in modo autonomo e consapevole, in relazione ad eventuali interventi o trattamenti di natura medica, sia ordinari che straordinari (questi ultimi previa segnalazione a questo giudice Tutelare e relativa autorizzazione), che si rivelino utili e/o necessari per la medesima”;
  • sentiti, all’udienza del 08.06.2012, l’amministratore di sostegno, il coordinatore infermieristico ASL Reggio Emilia xxx, l’infermiera xxx, che hanno riferito in ordine alle condizioni di salute della beneficiaria;
  • esaminata personalmente la beneficiaria presso il proprio domicilio in data 14.06.2012;
  • sentiti altresì, in tale occasione, il medico curante della beneficiaria, dott. xxx, e l’assistente domestica, sig.ra xxx;
  • sentiti i parenti prossimi e conoscenti della beneficiaria, sigg.ri xxx(sorella), don xxx (amico e guida spirituale), xxx(amica), xxx (marito separato);

osserva quanto segue:

la legislazione vigente, per il combinato disposto del nuovo art. 404 c.c. e dell’art. 6 della convenzione di Oviedo ratificata in Italia dalla L.145/01, consente, nel caso di persona che per infermità psichica o fisica sia impossibilitata a prestare il proprio consenso ai trattamenti sanitari, la nomina di amministratore di sostegno che la assista negli atti a cui la stessa non sia in grado di provvedere direttamente;

il potere di esprimere il consenso agli atti sanitari, in nome e per conto del beneficiario, può tuttavia essere deferito all’amministratore solo previa ricostruzione della presumibile volontà e degli intendimenti del beneficiario in relazione all’intervento proposto;

tale principio è stato espressamente affermato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 21748 del 2007 – che senz’altro rappresenta il più completo e recente arresto sul tema – ove viene fatto riferimento, in premessa, al principio del “consenso informato”, che sta alla base del rapporto medico paziente e costituisce “norma di legittimazione del trattamento sanitario” (altrimenti illecito);

nella sentenza de qua la Corte ha posto in rilievo l’innegabile correlazione del “consenso informato” con la “facoltà del paziente non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale”;

nell’occasione, è stato altresì precisato che “il rifiuto delle terapie medico- chirurgiche, anche quando conduce alla morte, non può essere scambiato per un’ipotesi di eutanasia, ossia per un comportamento che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte, esprimendo piuttosto tale rifiuto un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo corso naturale”, per cui, correlativamente, “in presenza di una determinazione autentica e genuina” dell’interessato nel senso del rifiuto della cura, il medico “non può che fermarsi, ancorchè l’omissione dell’intervento terapeutico possa cagionare il pericolo di un aggravamento dello stato di salute dell’infermo e, persino, la sua morte” (vedi Cass. Penale 11 luglio 2002);

nel citato arresto, la Corte ha in particolare affrontato il problema che si pone nel caso in cui il soggetto (adulto) non sia in grado di manifestare la propria volontà a causa del suo stato di totale incapacità e non abbia, prima di cadere in tale condizione, quando era ancora nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, specificamente indicato, attraverso dichiarazioni di volontà anticipate, quali terapie egli avrebbe desiderato ricevere e quali invece avrebbe inteso rifiutare nel caso in cui fosse venuto a trovarsi in uno stato di incoscienza;

in coerenza con l’esigenza di tutela dei valori di libertà e dignità della persona, la Suprema Corte è pervenuta alla conclusione che “all’individuo che, prima di cadere nello stato di totale ed assoluta incoscienza, tipica dello stato vegetativo permanente, abbia manifestato, in forma espressa o anche attraverso i propri convincimenti, il proprio stile di vita e i valori di riferimento, l’inaccettabilità per sè dell’idea di un corpo destinato, grazie a terapie mediche, a sopravvivere alla mente, l’ordinamento dà la possibilità di far sentire la propria voce in merito alla disattivazione di quel trattamento attraverso il rappresentante legale”, con la necessaria precisazione che “la funzionalizzazione del potere di rappresentanza, dovendo esso essere orientato alla tutela del diritto alla vita del rappresentato, consenta di giungere ad una interruzione delle cure soltanto in casi estremi”;

sul punto la Corte ha chiarito che, nel consentire al trattamento sulla persona dell’incapace, la rappresentanza del tutore/amministratore di sostegno è sottoposta a un duplice ordine di vincoli, dovendo egli “innanzitutto, agire nell’esclusivo interesse dell’incapace; e, nella ricerca del best interest, dovendo decidere non al posto dell’incapace né per l’incapace, ma con l’incapace, quindi, ricostruendo la presunta volontà del paziente incosciente, già adulto prima di cadere in tale stato, tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della perdita della coscienza”, con la conseguenza che al Giudice spetta propriamente ed unicamente il controllo della legittimità della scelta operata dal tutore o dall’amministratore nell’interesse dell’incapace;

ebbene, alla luce della giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, deve dunque ritenersi che al tutore/amministratore di sostegno prima, ed al Giudice poi, spetti il delicato compito, nell’ipotesi di soggetto incapace di esprimere autonomamente le proprie determinazioni, di procedere alla ricostruzione della volontà del malato rispetto alle scelte di cura;

tale attività può essere resa più agevole dalla circostanza che il beneficiario abbia, in passato, espressamente dichiarato di consentire o meno a determinati trattamenti terapeutici (volontà espressa), ma all’amministratore può essere attribuito anche il compito di comunicare la volontà presunta del beneficiario, ove quest’ultimo sia attualmente nell’impossibilità di farlo personalmente, nei casi in cui lo stile di vita, la personalità, le convinzioni etiche e religiose, culturali e filosofiche del beneficiario suggeriscano in quale direzione egli si sarebbe orientato rispetto alla singola scelta di cura;
ciò premesso in termini generali e vendendo al caso che occupa, la beneficiaria xxx, come risulta dalla plurima certificazione medica in atti, è affetta da Sclerosi Multipla Maligna in fase avanzata, oltre che da diabete Mellito (vedi da ultimo certificato di dimissioni dall’Arcispedale di S.Maria Nuova del 06.03.2012);

da tempo allettata, la beneficiaria si alimenta tramite PEG dal 2008; dal punto di vista neurologico, presenta una grave compromissione (“paziente allettata tetraplegica, strabismo divergente, ammicca apre gli occhi”); le capacità di comunicazione con il mondo esterno sono anch’esse ridotte al minimo (“per cenno di contatto verbale incostantemente sembra tentare una risposta motoria finalizzata alla comunicazione( ciao al saluto) mentre per lunghi tratti non sembra di poter stabilire un contatto”);

nel mese di marzo 2012, la sig.ra xxx ha subito un ricovero ospedaliero urgente per “focolaio bronco-polmonare acuto con grave ipossemia”;
all’attualità, come certificato dal medico curante, “xxx manifesta problemi di respirazione correlati alla paralisi e all’allettamento che indebolisce l’apparato respiratorio” tanto che “la problematica legata alla respirazione, considerata la gravità della patologia, potrebbe nel futuro richiedere valutazioni circa la metodologia migliore di intervento” (vedi certificato del 06.06.2012 a firma del medico di base, dott. Voltolini Vittorio);

su richiesta di questo Giudice Tutelare, l’amministratore di sostegno ha depositato in data 24.07.2012 ulteriore documentazione medica specialistica, da cui emerge che la paziente, nel periodo più recente, ha accusato “ripetute crisi dispnoiche prevalentemente notturne” e che la stessa “non è in grado di esprimere la sua volontà in merito al percorso terapeutico possibile” (vedi certificato del 11.07.2012 a firma della dott.ssa Monica Massobrio della Azienda USL Reggio Emilia, U.O. di Riabilitazione Respiratoria);

in particolare, come osservato dal medico specialista, la paziente non appare in grado, in caso di ulteriore peggioramento delle condizioni respiratorie (crisi dispnoiche/asfittiche, arresto respiratorio), di esprimere le proprie determinazioni in ordine alla alternativa tra il “procedere con manovre invasive (intubazione o ventilazione meccanica invasiva) o con la sola terapia palliativa”;

l’impossibilità della beneficiaria ad esprimere autonomamente le proprie deliberazioni, già emersa dalla documentazione medica in atti e riferita dall’amministratore, ha trovato conferma nell’audizione personale della beneficiaria;

nel corso dell’esame condotto da questo Giudice Tutelare presso il domicilio della beneficiaria in data 14.06.2012, la beneficiaria, allettata e addormentata, dopo aver aperto gli occhi, a domanda, con molta difficoltà ha scandito il proprio nome e anno di nascita; successivamente ha nuovamente chiuso gli occhi e non ha risposto alle ulteriori domande postele dal Giudice; in particolare, non ha risposto alla domanda se volesse o no essere curata e se volesse o no il respiratore; solo alla domanda se volesse o no andare in Ospedale, ha risposto di no;

a seguito della accertata impossibilità della beneficiaria di provvedere personalmente in modo autonomo e consapevole a prestare il consenso informato, all’udienza del 03.07.2012 si è proceduto all’audizione dei parenti e delle persone che le sono state maggiormente vicine, allo scopo di ricostruirne la volontà in ordine ai prospettati trattamenti sanitari;

dalle testimonianze assunte, è emerso che xxx, prima dell’insorgere della malattia, era una donna volitiva, dal carattere vivace (l’amica xxx ha dichiarato: “era un tornado, parlava, cantava”; il marito separato ha riferito: “xxx era una persona molto vitale, aveva la passione del canto”);
per quanto concerne le sue convinzioni religiose, l’avvicinamento alla fede cattolica è risultato successivo al manifestarsi della patologia (sul punto, l’amica ha riferito “xxx era una persona molto laica, si è avvicinata alla religione dopo la malattia, per avere un conforto. Lei era comunista e di sinistra, aveva preferito lasciare Napoli piuttosto che accettare di lavorare per le cooperative della DC. Dopo la malattia, xxx era nostro amico, nel nostro giro ci sono altre persone che lavorano in OPG, e lei si è avvicinata molto a xxx. Non mi risultava che prima della malattia frequentasse la Chiesa”; anche il marito ha dichiarato “Quando ci siamo conosciuti, xxx non era molto religiosa, non era atea o agnostica, ma diciamo che si è avvicinata alla fede dopo la scoperta della malattia. Andavamo tutte le settimane da xxx per sentire la messa.”) e si è tradotto in una frequentazione intensa della Parrocchia di Don xxx, il quale ha dichiarato: “Lei veniva a messa la domenica, anche in carrozzina, accompagnata dal marito. Sono già due o tre anni che non viene. (…) Dava al Signore delle scadenze. Ricordo che diceva pubblicamente, durante la messa, “io entro Natale voglio guarire”. Solo che non guariva e la data veniva sempre spostata in avanti. La separazione dal marito è stata per lei una tragedia. L’ho vista piangere e chiedersi perché Dio le aveva dato questa ulteriore prova. (…) Di questo aggravamento lento e crudele della malattia lei ha chiesto conto a Dio. (…). xxx aveva una fede sincera”;

secondo le concordi dichiarazioni di tutte le persone escusse, xxxx ha affrontato la sua patologia con atteggiamento combattivo e, pur avendo compreso il percorso che le si prospettava davanti, non si è mai rassegnata alla propria sorte, sperando nella guarigione e non lasciando intentata alcuna possibilità di cura (il marito ha dichiarato: “Lei ha provato tutte le cure possibili, ha fatto anche delle cure che io non condividevo, siamo andati da una signora a Bologna che praticava delle forme di stregonerie”; l’amica xxx ha riferito: “Quando ha saputo della malattia, era molto angosciata, anche perché le fu detto brutalmente quale sarebbe stata l’evoluzione della patologia. (…) Successivamente lei ha incominciato a lottare contro la malattia, era una cosa in cui lei si impegnava molto, è andata anche da un medico-stregone a Modena”; la badante xxx detta Susanna ha riferito: “xxx pensava sempre che sarebbe guarita, che avrebbe ricominciato a camminare. Pensava che qualcuno avrebbe trovato una cura per farla tornare a camminare. Non ha mai parlato della sua morte. Lei desiderava avere un figlio. (…) xxx ha cercato tante volte la dott.ssa xxx per le cellule staminali. Sono andata tante volte da lei con xxx”);

pur consapevole della gravità della sua malattia, xxx ha anche interrotto le terapie nel tentativo di aver un figlio, affrontando il rischio (poi concretizzatosi) che la sospensione delle terapia farmacologica comportasse un aggravamento dei sintomi;

la negazione della irreversibilità della malattia ha verosimilmente impedito alla beneficiaria di affrontare con le persone che le erano più vicine l’argomento della morte: nessuna delle persone sentite ha saputo riferire quali fossero le volontà della sig.ra Zaccaro in ordine all’evoluzione della sua patologia e alla fase terminale della vita (la sorella ha dichiarato: “xxx non si è mai confidata con me circa l’eventualità della sua morte. Non ne parlava volentieri. Penso che volesse essere curata, era molto attenta alla terapia. Non ha mai rifiutato le cure, era abbastanza combattiva. Non so se xxx avrebbe voluto o meno essere curata fino in fondo. Quando le è stata messa la PEG già non parlava più. Non so se avrebbe voluto essere intubata. Non abbiamo mai parlato di questo. Non credo che abbia lasciato scritto nulla”; anche il marito ha riferito: “Quando era disperata e piangeva, lei diceva che voleva morire, ma era un momento di disperazione, nei momenti sereni non affrontavamo l’argomento. L’unica cosa che lei aveva detto è che, da morta, avrebbe voluto essere sepolta vicino al padre. Con xxx non abbiamo mai affrontato l’argomento della sua morte. Lei ragionava in termini di vita e non di morte.”);
pur in mancanza di esplicite manifestazioni di volontà della beneficiaria sul punto, gli elementi informativi acquisiti sulla personalità, le convinzioni etiche e religiose di xxx consentono di ricostruire con sufficiente certezza i suoi convincimenti in ordine al tema del fine vita;
in particolare, notevole rilievo acquista un episodio – che viene riportato in termini analoghi sia dal marito sia dalla amica xxx – avvenuto in occasione della morte del padre di Paola, al quale la beneficiaria era molto legata;

secondo quanto dichiarato da xxx, in occasione del rapido peggioramento delle condizioni di salute del padre, affetto da carcinoma epatico, xxx ebbe modo di esprimere i suoi personali convincimenti circa le cure terminali, dichiarandosi esplicitamente contraria a ogni forma di accanimento terapeutico (“Non abbiamo mai parlato del suo caso specifico, però in altre occasione mi aveva detto che non era d’accordo con le cure estreme e con l’accanimento terapeutico. Il padre ebbe un carcinoma epatico. Parlavamo della situazione del padre e lei era disperata. Però, nonostante fosse legatissima al padre, anche lei era d’accordo nel non arrivare ad eccessi inutili nelle cure. Parlavamo del fatto che il padre era morente, aveva metastasi ovunque, ed eravamo d’accordo nel ritenere che, se il padre doveva soffrire, era meglio lasciarlo andare. Il senso della telefonata era quello di evitare cure e sofferenze inutili”);

l’episodio è stato confermato anche dal marito, il quale sul punto ha riferito “Ricordo che, quando il padre era in punto di morte e faceva una serie di cure, io e xxx decidemmo consapevolmente di portarlo a casa dall’Ospedale per farlo morire in santa pace. C’era una certa opposizione degli altri familiari, ma ciò nonostante xxx decise di farlo morire a casa sua. Lei era contraria ad accanirsi nelle cure per il padre”;
le opinioni espresse dalla beneficiaria in occasione della morte del padre appaiono specialmente significative ove si consideri che xxx era a quest’ultimo – a detta di tutti – fortemente legata (tanto da voler essere sepolta al suo fianco);

all’esito della istruttoria svolta, l’amministratore di sostegno ha, quindi, ritenuto che “dal contenuto delle dichiarazioni rese in udienza si può desumere una contrarietà della sig.ra xxx alla somministrazione di terapie particolarmente invasive, pensiero dichiarato personalmente in occasione della morte del padre”;

tale ricostruzione della volontà della beneficiaria trova conforto nella opinione espressa dalle persone vicine alla beneficiaria, secondo le quali xxx non avrebbe voluto vivere nelle condizioni in cui attualmente vive;
sul punto, xxx ha dichiarato: “Secondo me xxx non avrebbe voluto essere intubata. Questa non è vita. xxx non avrebbe voluto che qualcuno la trattenesse in questa vita, che non è la vita che avrebbe voluto avere. xxx era una persona vulcanica, e questa vita qua è di una miseria inconcepibile per lei”;

il marito ha dichiarato “Non mi sento di dire che cosa avrebbe voluto xxx, però era una persona molto vitale, non credo che avrebbe voluto essere intubata. Non ha mai accettato questo tipo di condizione. Questa malattia è uno stillicidio”;

don xxx ha dichiarato: “Era una persona che si aggrappava alla vita e ai suoi progetti. Credo però che avrebbe rifiutato un accanimento terapeutico, per la stanchezza che ha mostrato verso la malattia. (..) A un certo punto credo che lei si sarebbe abbandonata alla volontà di Dio, anche se non me lo ha mai detto esplicitamente”;

tutto ciò premesso;

ritenuto che il prospettato trattamento sanitario (cure palliative alternative alle procedure invasive quali intubazione meccanica) sia conforme all’interesse e alla volontà della beneficiaria;

in accoglimento dell’istanza

autorizza

l’amministratore di sostegno avv. xxx, in relazione all’eventualità di un ulteriore peggioramento delle condizioni respiratorie della beneficiaria con arresto respiratorio, ad esprimere, in nome e per conto della beneficiaria, il consenso informato alle cure con sole terapie palliative.

Si comunichi all’amministratore e al PM.

Reggio Emilia 24.07.2012

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